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“Si raccomanda di fare una moderata attività fisica e una dieta equilibrata…” è una frase che spesso possiamo trovare alla fine di una relazione di visita e che sintetizza in modo semplicistico la cura e gestione di una malattia complessa, multifattoriale, recidivante e cronica come l’obesità.

“Si raccomanda di fare una moderata attività fisica e una dieta equilibrata…” è una frase che spesso possiamo trovare alla fine di una relazione di visita e che sintetizza in modo semplicistico la cura e gestione di una malattia complessa, multifattoriale, recidivante e cronica come l’obesità.

Questa può essere la corretta introduzione all’articolo che il prof. Luca Busetto, con la collaborazione dei professori Paolo Sbraccia e Roberto Vettor, ha recentemente pubblicato sulla rivisita Eating and Weight Disorders dal titolo “Obesity management: at the forefront against disease stigma and therapeutic inertia” (1).

Prima di tutto facciamo chiarezza su cosa si intende per “inerzia clinica” o “inerzia terapeutica”. Viene definito così il ritardo con cui un paziente accede alla cura per il proprio specifico caso. Come tale riguarda sia il momento della diagnosi e della prima terapia, sia il proseguimento della cura e l’intervento sanitario più appropriato ed efficace (2).

L’articolo, nella parte iniziale, offre una panoramica esaustiva dei complessi fattori biologici e genetici coinvolti nella regolazione del peso, e meccanismi di fame e sazietà, che rendono difficile sia la perdita di peso, che il mantenimento del peso perduto, in contrasto con il mantra diffuso e semplicistico “mangia di meno e muoviti di più”.

Infatti, gli autori sottolineano come, nonostante le conoscenze basate sull’evidenzia scientifica della complessità dell’obesità, essa è altamente stigmatizzata, e come questo possa penalizzare la persona affetta da obesità nella sua vita sociale; aumentare il rischio di ricadute negative sulla salute fisica e psicologica; costituire un potente ostacolo a una corretta e funzionale gestione del peso.

Purtroppo, questa forma di stigma entra anche nelle corsie di ospedali e nelle stanze degli ambulatori con il rischio di influenzare negativamente la cura di questi pazienti spesso relegata a consigli paternalistici che, se non seguiti, sono ritenuti il risultato di scarsa volontà e interesse da parte dell’assistito.

L’obesità, quindi, è spesso detronizzata da malattia a colpa e la sua complessità confusa con la mancanza di forza di volontà e pigrizia di chi ne è affetto.
Questa visione stereotipata e negativa dell’obesità, nonostante la scienza confermi il contrario, è diffusa, socialmente accettata, in aumento e questo contribuisce a tenere l’attenzione politica e pubblica lontana dai bisogni che questa malattia cronica, e chi ne soffre, meritano e necessitano.

L’articolo infatti sottolinea come il sistema sanitario, sia pubblico che privato, non offre alle persone affette da obesità gli stessi livelli di cura che hanno altre condizioni croniche (per esempio cancro, diabete disturbi cardiovascolari e reumatici).
Per esempio, nessun farmaco indicato per l’obesità è accessibile gratuitamente e anche la chirurgia bariatrica e il percorso multidisciplinare richiesto non è sempre semplice da ottenere.

È importante uscire da una narrazione dell’obesità che basa tutto sulla responsabilità personale (mangia di meno e muoviti di più) e che vede l’obesità come una scelta invece che una malattia complessa.

Alcune azioni che dovrebbero essere fatte per uscire da questo scenario sono:

– Aumentare la consapevolezza dell’obesità come malattia complessa, cronica e con una forte base biologica a ogni livello a partire dalla formazione dei futuri medici (promuovendo una formazione continua su queste tematiche).

– Favorire l’interazione tra società scientifiche, organizzazioni di professionisti, politici, pazienti, organizzazioni dei consumatori; per la promozione di misure preventive verso l’obesità basate maggiormente su un approccio sistemico e meno incentrate sul paradigma della responsabilità personale.

– Creare e implementare strutture a livello regionale con personale multidisciplinare specializzato per la gestione dell’obesità che possano garantire ai pazienti i diversi livelli di cura raccomandati dalle linee guida (es. programma di modificazione dello stile di vita, terapia cognitivo comportamentale, terapia farmacologica, chirurgia bariatrica).
– Produzione e disseminazione di linee guida dell’obesità più aderenti al concetto di obesità come malattia cronica.

Arya Sharma in un editoriale uscito nel 2009 scriveva di non avere mai incontrato nessun paziente che avesse scelto di essere in una condizione di obesità, ma come questa spesso è vista come una scelta a differenza di altre malattie .
L’autore, che vive e lavora in Canada, scriveva anche che dire a una persona con obesità di mangiare meno e muoversi di più è come dire a una persona affetta da depressione di ridere di più; intendendo come spesso per l’obesità si offrano soluzioni semplicistiche per contrastare una condizione molto complessa.

Infatti, l’editoriale recitava il titolo inequivocabile “L’obesità non è una scelta”.

Daniele Di Pauli

(1) Busetto L, Sbraccia P, Vettor R. Obesity management: at the forefront against disease stigma and therapeutic inertia. Eat Weight Disord. 2021 May 29. doi: 10.1007/s40519-021-01217-1. Epub ahead of print. PMID: 34052990.

(2) (https://farma7.it/2020/07/08/un-nuovo-pericolo-inerzia-clinica-o-terapeutica/).

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