Indice di Massa Corporea e rischio di demenza
Contributo di BARAZZONI
Indice di Massa Corporea e rischio di demenza: Analisi di dati da 1.3 milioni di individui Mika Kivimaki et al, Alzheimer’s & Dementia 2017 doi.org/10.1016/j.jalz.2017.09.016
Introduzione
E’ stato suggerito che un elevato indice di massa corporea (IMC) alla mezza età aumenti il rischio di demenza, ma un calo ponderale durante la fase preclinica della demenza stessa potrebbe nascondere questo effetto.
Metodi
Abbiamo testato questa ipotesi in 1,349,857 partecipanti a 39 studi non affetti da demenza. L’IMC are misurato all’inizio dell’osservazione. La presenza di demenza veniva accertata al follow-up attraverso collegamenti a registri sanitari elettronici (N 5 6894). Abbiamo assunto che l’IMC sia poco modificato dalla presenza di demenza preclinica se misurato decenni prima della sua insorgenza, e che viceversa ne sia molto modificato se misurato poco prima della diagnosi.
Risultati
Il rischio di demenza per ogni aumento di 5 kg/m2 di IMC era 0.71 (95% CI 0.66–0.77), 0.94 (0.89–0.99), e 1.16 (1.05–1.27) quando l’IMC stesso era misurato 10 anni, 10-20 anni, o 20 anni prima della diagnosi di demenza.
Conclusioni
L’associazione the IMC e demenza è probabilmente attribuibile a due processi diversi: un effetto dannoso di un IMC elevato è osservabile durante un follow-up prolungato, e una effetto di causalità inversa che fa apparire protettivo un IMC elevato quando il follow-up è breve.
COMMENTO
Negli ultimi anni, i risultati paradossali di alcuni studi hanno suggerito un effetto benefico del sovrappeso o addirittura di un grado lieve di obesità sul rischio di morte anche nella popolazione generale (obesity paradox), contribuendo al diffondersi di concetti confondenti riguardo l’impatto sulla salute di un moderato eccesso ponderale. Lo studio sopra riportato, pubblicato recentemente su Lancet, possiede forte impatto clinico e autorevolezza scientifica, derivanti dall’utilizzo di un vasto numero di studi prospettici con larghissima diffusione geografica che li rende rappresentativi di una prospettiva globale. Un altro punto di forza fondamentale risulta essere la possibilità di eliminare dalle analisi i gruppi nei quali, verosimilmente, condizioni patologiche preesistenti possono condurre a un’associazione tra calo ponderale o basso peso corporeo e aumentato rischio di morte, risultando quindi indirettamente in un fittizio effetto protettivo del sovrappeso (fumatori, soggetti con patologie croniche e decessi precoci al follow-up).
In queste condizioni, gli autori ribadiscono efficacemente un significativo impatto NEGATIVO sulla mortalità per tutte le cause anche di livelli moderati di sovrappeso. Tale impatto risulta essere del tutto omogeneo nelle diverse popolazioni studiate e indipendente, pur con impatto diverso, da sesso e età, applicandosi quindi anche alle fasce più anziane della popolazione. Lo studio permette quindi autorevolmente di ribadire la necessità di concentrare gli sforzi clinici e di sanità pubblica nella lotta a tutte le forme di sovrappeso, attraverso ampi spettri di età, condizioni generali e distribuzione geografica.