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Efficacia e sicurezza dell’inibitore della ghrelina-O-aciltrasferasi BI1356225 in pazienti con sovrappeso/obesità: dati da due studi randomizzati, placebo-controllo di Fase I.

Contributo di Gortan Cappellari

Efficacia e sicurezza dell’inibitore della ghrelina-O-aciltrasferasi BI1356225 in pazienti con sovrappeso/obesità: dati da due studi randomizzati, placebo-controllo di Fase I.

Abstract tradotto

Contesto: l’obesità è una patologia complessa associata a molteplici diverse complicanze potenzialmente concomitanti, e, nell’ambito di una terapia farmacologica, una azione che miri in modo coordinato a molteplici meccanismi di segnale può favorire il raggiungimento della perdita di peso. Durante la sintesi, la ghrelina è convertita dalla forma “inattiva” non acilata (UAG) a quella attiva acilata (AG) dall’enzima ghrelina-O-aciltrasferasi (GOAT), stimolando l’appetito e l’introito di cibo.

Obiettivi: Presentare i risultati di due studi di fase I che investigano dosi crescenti singole (SRDs) o multiple (MRDs) del nuovo inibitore orale di GOAT BI1356225 rispetto a placebo in uomini e donne post-menopausa/sterilizzate con obesità o sovrappeso.

Metodi: Lo studio SRD ha investigato l’uso di dosi singole di BI 1356225 (0.1-20.0 mg) in maschi sani con un BMI di 18.5-29.9 kg/m2 (coorte SRD) e di dosi di 2.5 mg di BI 1356225 in condizioni postprandiali o di digiuno (coorte di biodisponibilità [BA]). Lo studio MRD ha investigato l’uso di multiple dosi di BI 1356225 (0.2, 1.0, 2.5 or 10.0 mg) oppure di 5.0 mg di BI 1356225 con una singola dose di midazolam e celecoxib (interazione farmaco-farmaco) per 28 giorni in adulti con BMI di 27.0-39.9 kg/m2.

Risultati: Nello studio SRD sono stati trattati sessantacinque soggetti. Effetti avversi da farmaco (EA) sono stati riportati per cinque soggetti (9.1 %) nella coorte SRD e due (20.0 %) nella coorte BA, più frequentemente cefalea (SRD: n = 4, 9.8 %; BA: n = 1, 10.0 %). Nello studio MRD, due (2.3 %) degli 87 soggetti trattati hanno interrotto il trattamento a causa di EA. EA da farmaco sono stati riportati per 18 soggetti (20.7 %), non aumentavano con la dose ed erano più frequentemente costituiti da cefalea (n = 5, 5.7 %) e disturbi gastrointestinali (n = 5, 5.7 %). In entrambi gli studi, i parametri di esposizione (area sotto la curva [AUC] concentrazione-tempo e concentrazione plasmatica massima [Cmax]) di BI 1356225 sono aumentati tra i gruppi in base alla dose, anche se in maniera non completamente proporzionale alla dose per tutto lo spettro di dosaggio testato. Nella coorte BA dello studio SRD, si osservava AUC0-∞ lievemente aumentata e Cmaxlievemente diminuita in condizioni postprandiali rispetto al digiuno, con rapporti postprandiale/digiuno (90 % CI) di 101.10 % (92.42, 110.60) e 91.67 % (78.50, 107.05), rispettivamente. In entrambi gli studi, le concentrazioni di AG ed il rapporto AG/UAG erano diminuiti in modo dose-dipendente dopo il trattamento con BI 1356225 verso placebo. Nello studio MRS, le concentrazioni di UAG risultavano aumentate dal baseline ma non in modo dose dipendente. Non sono state osservate differenze nel peso corporeo, in termini di appetito, craving per cibo, introito di cibo ad libitum o biomarcatori associati all’età dopo 28 giorni di trattamento con BI 1356225.

Conclusioni: Il trattamento SRD o MRD era ben tollerato in maschi adulti e nei soggetti con soprappeso/obesità. Il trattamento con BI 1356225 per 28 giorni ha ridotto le concentrazioni di AG ed il rapporto AG/UAG di più dell’80 % senza pero effetti osservabili su peso corporeo, fame/sazietà, controllo dell’alimentazione o dell’introito energetico. Nonostante, essendo di 4 settimane, lo studio MRD è stato relativamente breve, una riduzione del peso corporeo sarebbe dovuta essere evidente dopo tale intervallo, suggerendo che una riduzione di AG tramite inibizione del GOAT non è sufficiente per indurre una perdita di peso clinicamente rilevante.

Commento editoriale

La ghrelina è un ormone ormai noto da più di un ventennio, inizialmente identificato per la sua capacità di modificare il bilancio energetico, ed in particular modo per i suoi effetti oressigenici. Tuttavia, di questo ormone sono presenti e circolanti due forme, acilata e non acilata (o desacilata), quest’ultima per lungo tempo considerata un semplice precursore (o prodotto di degradazione) inattivo della prima. La ghrelina, ormai considerato l’ormone dell’appetito per antonomasia, ha acceso speranze anche in ambito obesiologico. Esse sono basate sull’ipotesi che indurre la diminuzione dei livelli dell’ormone o bloccarne il meccanismo di attivazione potesse essere utile nel ridurre l’appetito e quindi contrastare l’obesità. Nell’ultimo decennio sono stati avviati diversi studi, condotti sia in modelli animali sia in ambito clinico, anche orientati a specifiche condizioni patologiche o a verificare tale ipotesi nel post-intervento bariatrico, con somministrazione di antagonisti per il recettore dell’ormone acilato (GHSR1). Tali studi sono tuttora in parte in corso. Dalle prime evidenze, tuttavia, nonostante alcuni effetti promettenti, non sono ancora stati pubblicati risultati importanti che supportino una effettiva rilevanza della ghrelina nel trattamento clinico dell’obesità (Liang et al.m Curr Med Chem 2021).

Gli studi di Fase I descritti nel presente lavoro si inseriscono in questo filone, anche se partono da un approccio diverso rispetto all’utilizzo di un antagonista recettoriale. In questo modello, infatti, il raggiungimento dell’obiettivo di ridurre la concentrazione di ghrelina acilata plasmatica viene ottenuto inibendo l’acilazione del peptide, ovvero agendo sull’enzima GOAT. Anche in questo caso, pur trattandosi di uno studio di sicurezza con scarsa numerosità e durata relativamente breve, i risultati non depongono a favore di una evidente efficacia nel trattamento dell’obesità.

A questo proposito va sottolineato come l’outcome principale studiato in questo lavoro fosse il calo ponderale. E’ interessante notare come i principali studi condotti nei modelli sperimentali che hanno associato la ghrelina acilata con l’obesità corrispondano in realtà in contesti fisiopatologici non del tutto sovrapponibili. Essi, infatti, hanno  primariamente investigato il ruolo oressigeno in animali magri, indicando inequivocabilmente indicato che la somministrazione di ghrelina acilata induca l’aumento dell’introito calorico favorendo quindi l’aumento ponderale. In accordo con questi dati, animali knock-out per GOAT, quindi privi di ghrelina acilata, sono resistenti alla dieta grassa e non sviluppano obesità (Kouno et al. J. Endocrinol, 2016). Nel modello di obesità, anche in ambito sperimentale, esistono molti meno studi, con risultati meno univoci, e che prevalentemente riportano effetti su parametri metabolici piuttosto che sul peso. I risultati questo studio, in linea di principio, non escludono quindi che l’induzione di un calo della concentrazione di ghrelina acilata possa svolgere un ruolo non terapeutico bensì preventivo nello sviluppo dell’obesità anche nell’uomo. Certamente tale approccio farmacologico implicherebbe una valutazione ancora più stringente in termini di rapporto costo/benefici ed etici, risultando potenzialmente applicabile ad un numero molto più limitato di casi selezionati ad alto rischio.

Nel presente studio la concentrazione di ghrelina acilata è ridotta di più dell’80% ma non azzerata. Allo stato attuale non è noto se vi sia un valore minimo di ghrelina acilata sufficiente a mantenere il bilancio energetico neutro, rendendo anche in questo senso il presente studio non conclusivo.

Un ulteriore tassello da approfondire è relativo alle modifiche di concentrazione (assolute e relative) della forma non acilata dell’ormone in questi pazienti. La ghrelina non acilata, infatti, è stata indicata da recenti studi in modelli sperimentali quale forma ormonale non inattiva ma anzi in grado di svolgere un ruolo favorevole autonomo ed indipendente nella regolazione metabolica sistemica e muscolare (aumento dell’insulino sensibilità, riduzione dello stress ossidativo e dell’infiammazione, attivazione della funzione mitocondriale), con recenti evidenze sperimentali anche a livello del tessuto adiposo.

Il presente studio, così come altri analoghi, suggeriscono quindi piuttosto un ripensamento degli obiettivi/outcomes da indagare ed ulteriori indagini sui meccanismi molecolari coinvolti.

Estremi bibliografici

Bianzano S., et al.,

Efficacy and safety of the ghrelin-O-acyltransferase inhibitor BI 1356225 in overweight/obesity: Data from two Phase I, randomised, placebo-controlled studies

Metabolism. 2023 Mar 22;143:155550. doi: 10.1016/j.metabol.2023.155550. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/36958671/

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