Autore :
SIO

Body Mass Index e mortalità nei pazienti adulti con infarto miocardico non fatale

Contributo: Simona Bo

Body Mass Index and Mortality Among Adults with Incident Myocardial Infarction
Body Mass Index e mortalità nei pazienti adulti con infarto miocardico non fatale

Introduzione: La relazione tra BMI e mortalità nei pazienti che hanno avuto un infarto miocardico acuto non fatale rimane tuttora controversa. Nel presente studio osservazionale, è stata esaminata la relazione tra mortalità e BMI pre e post-infarto e variazioni ponderali nelle coorti di popolazione partecipanti al Nurses Health Study (svolto negli anni 1980-2016) e al Health Professionals Follow-up Study (svolto negli anni 1988-2018).

Metodi: Sono stati inclusi 4856 pazienti che hanno avuto un infarto miocardico acuto durante i 36 mesi di follow-up, provenienti dalle due coorti di popolazione. I pazienti con neoplasia e malattia cardiovascolare al momento dell’arruolamento sono stati esclusi. Sono stati raccolti i dati relativi allo stile di vita e al peso corporeo tramite questionari somministrati ogni 2 anni.

Risultati: Durante il follow-up, si sono verificati 2407 decessi, di cui 976 determinati da malattie cardiovascolari. Il sovrappeso pre e post-infarto non era associato con una inferiore mortalità. L’obesità era invece associata con un rischio maggiore di decesso. La mortalità è risultata più elevata nei soggetti con obesità di I grado post-infarto [Hazard Rario (HR)=1,16; IC 95%,1,01-1,34] o di grado superiore (BMI≥35,0 kg/m2, HR=1,52; IC 95%, 1,27-1,83) rispetto ai soggetti con BMI post-infarto pari a 22,5-24,9 kg/m2 (p per trend <0,001). Rispetto ad avere un peso stabile prima e dopo l’infarto, la perdita di peso ottenuta prima dell’evento si associava ad un incremento del rischio (HR=1,27; IC 95% CI, 1,12-1,45 per riduzione di 2-4 unità di BMI e HR=1,53; IC 95%, 1,28-1,83 per decremento >4 unità di BMI). Questo aumento del rischio di mortalità è risultato evidente solo tra i pazienti che hanno perso peso in modo non intenzionale, cioè senza apportare miglioramenti al loro stile di vita (alimentazione ed esercizio).

Conclusioni: Questi risultati non documentano alcun beneficio sulla sopravvivenza dell’eccesso ponderale nei pazienti con infarto miocardico non fatale. Il calo di peso non intenzionale prima e dopo l’infarto, che si associa ad aumento del rischio, potrebbe indicare una maggiore severità di malattia e non essere quindi legato da un nesso di causa all’aumento di mortalità.

Commento: Si tratta di uno studio accurato in un’ampia casistica di pazienti, che analizza numerose variabili con misure ripetute ed un follow-up molto lungo. L’associazione tra il BMI e la mortalità nei pazienti sopravvissuti ad un infarto miocardico è complessa (associazione non lineare J-shaped) e comunque il rischio è maggiore in presenza di obesità più grave. Pertanto, l’esistenza del possibile effetto “paradosso” dell’obesità, ovverossia l’effetto protettivo conferito dal maggiore eccesso ponderale in termini di sopravvivenza, viene del tutto confutato da questi dati. È possibile che la perdita non intenzionale di peso legata a malattie concomitanti o a maggiore severità della condizione clinica possa essere responsabile dell’effetto paradosso riportato in letteratura. Anche in questo studio, infatti, viene riscontrata una associazione significativa tra calo ponderale e incrementato rischio di mortalità, ma questa viene correttamente interpretata come artefatto da “reverse causation”, piuttosto che vero nesso causale.

Sebbene limitati dalla modalità di raccolta del peso (autoriferito dai pazienti) e dalla esclusione dei casi più gravi (di cui non erano disponibili i dati), questi risultati robusti e importanti confermano ancora una volta come la prevenzione e la cura dell’obesità debba diventare una priorità nella pratica clinica di tutti gli operatori sanitari.

Riferimento bibliografico: Al-Shaar L, Li Y, Rimm EB, Manson JE, Rosner B, Hu FB, Stampfer MJ, Willett WC. Body Mass Index and Mortality Among Adults with Incident Myocardial Infarction. Am J Epidemiol. 2021;190:2019-2028.

doi:10.1093/aje/kwab126

Link pubmed: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/33907796/

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